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Ho studiato con Indiana Jones

Quando mi sono iscritta alla facoltà di Lettere avevo quel gradevole senso di fallimento che mi accompagnava sin da allora (e che non mi ha mai lasciata, ormai è una relazione consolidata). Il motivo? Avevo già provato con Sociologia, non capendoci nulla, e dopo aver buttato un anno tentando di entrare nel mood di Ferrarotti, mi arresi. Sociologia non faceva per me.

Ripiegai su Lettere, ben lungi dal sognare di studiare la storia medievale o la filologia romanza. Avevo adocchiato alcune materie che mi attraevano di più: Antropologia culturale, Etnologia, Religioni del Vicino Oriente Antico, Storia delle Religioni, Religioni dei Popoli Primitivi. Tutte ‘ste religioni non erano dovute al fatto che io fossi credente (non lo sono) ma alla mia curiosità per il modo in cui gli uomini s’inventavano pantheon e aldilà.

Cosa ci avrei fatto con questo indirizzo di studi? Niente, ovviamente. Ma mi pareva super affascinante. Superai due annualità di Antropologia con Cirese, Etnologia con Signorini e varie altre materie tipo Storia del Teatro e dello Spettacolo o Storia del Cristianesimo. Quando approdai alla cattedra di Religioni dei Popoli Primitivi ebbi l’illuminazione, come Jake e Elwood di fronte al reverendo Cleophus James. Era quella la MIA materia!

Il professore ordinario era Gilberto Mazzoleni, uno studioso timido, simpatico e un po’ fuori di testa, storico delle religioni di enorme sapienza. Aveva fatto missioni in America Latina e in Scandinavia, e io beccai le lezioni sui Sami, popolazione della Lapponia. Decisi che mi sarei laureata con lui. Così divenni una studentessa-habitué del dipartimento e iniziai a seguire i seminari di un assistente di Mazzoleni che si chiamava Gerardo Bamonte.

Biondo, non molto alto, barba da esploratore e occhi azzurrissimi, Gerardo divenne il mio mentore e la mia guida nell’affascinante mondo dell’etnologia letta attraverso gli studi storico-religiosi. Simpatico e coltissimo, era stato dovunque ci fosse una popolazione indigena: in Africa, in Asia, in America Latina. Parlava quattro lingue più un po’ di quechua e si occupava di noi studenti come un capo scout segue le sue squadriglie.

Ascoltare le sue lezioni e i suoi racconti era bellissimo, sembrava di vederlo farsi strada nella foresta Amazzonica o nelle paludi del Bengala. Era un convinto sostenitore del diritto all’autodeterminazione di tutte le popolazioni indigene. Abitava a Piazza Verbano e girava su un’impolverata Land Rover anni 60 molto cool sulla quale sono salita una sola volta, aspettandomi di vedere il cappello e la frusta di Indiana Jones sul sedile posteriore.

Gerardo coinvolse alcuni di noi studenti nella creazione di una biblioteca che chiamò Centro Studi Amerindiani, presso la fondazione Lelio Basso in via della Dogana Vecchia, al centro di Roma. Fu il mio primo piccolo lavoro retribuito. Pochi soldi, ma ero felice. Con la prima paga mi comprai un paio di occhiali da sole Persol, molto fighi. Facevo l’archivista bibliotecaria dei materiali sugli indios (riviste e libri) insieme ad un collega di corso, Davide, sotto la supervisione di Gerardo, che mi chiamava “Mon petit chou” quando non capivo qualcosa o combinavo qualche pasticcio.

Mi laureai con la Cattedra di Religioni dei Popoli Primitivi con una tesi intitolata “La ricerca dell’Eldorado: analisi di un fenomeno mitopoietico tra ‘500 e ‘600”, che se provo a rileggerla ora non la capisco. Beccai un 110 e lode credo in base alla fiducia e all’affetto che c’era con Mazzoleni e il suo staff. Non vidi mai più Gerardo. Ho scoperto sul web che se n’è andato nel 2008.

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Mi piace/Non mi piace

Vignetta di Massimo Cavezzali, dal web.
Cavez ti adoro (e lo sai)

Direte che sto sempre a rimestare nel pozzo dei ricordi e in effetti è un po’ così. Nella rivista settimanale per teenager che ho fatto per vent’anni c’era una rubrichetta di una pagina che si intitolata “Ci piace/Non ci piace”. Consisteva in un elenco di cose che le ragazzine apprezzavano o detestavano, tipo Mi piacciono le spalline/Non mi piacciono i colori spenti oppure Mi piacciono i baci/Non mi piacciono le discussioni.

Chissà come sarebbe ora quella rubrichetta. Ci pensavo ieri e riflettevo che fare una lista di cose gradite e non amate sarebbe divertente. E quindi… i dodici MP/NMP del mese.

MI PIACE

  • L’odore della mia cana bassotta Spilla, un misto di biscotto Gentilini e salame Milano.
  • L’odore dell’aria fresca del mattino presto, quando devo uscire alle 6 e mezzo ma prima passo al bar per un caffè.
  • Leggere la sera tardi raggomitolata nel letto.
  • Ascoltare musica anni 80 (ma anche 70 e 60) a volume alto.
  • Fare il pisolino pomeridiano dalle 14,30 alle 15 (con cani accollati).
  • Ridere con gli sketch di Lillo e Greg.
  • Guardare le serie assurde. Ora sono in fissa con Snowpiercer e American Gods.
  • Andare al Teatro Sistina a vedere i musical (quando si potrà).
  • Passeggiare in montagna.
  • L’angolo tondo della pizza bianca.
  • I messaggi inaspettati e carini su whatsapp.
  • Cantare pezzetti di canzoni saltando da un brano ad un altro mentre riordino casa.

NON MI PIACE

  • I cacciatori e i bracconieri.
  • La trap, il rap, l’autotune, il reggaeton.
  • La carne e tutto ciò che è stato vivo e finisce nel piatto.
  • Misurarmi le cose dello scorso anno e vedere che mi stanno strette.
  • Farmi prendere dalla pigrizia.
  • Vedere la ricrescita grigia dei capelli.
  • Fare i bilanci. Ce n’avessi uno positivo, oh.
  • I dolci con la glassa di zucchero.
  • I posti affollati e la metropolitana.
  • Chi guida guardando il cellulare.
  • Il tartufo e l’odore che ha.
  • L’orrido sogno ricorrente in cui continuo a lavorare pur sapendo che sono stata licenziata, oppure vedo tutti gli altri che lavorano e mi guardano con imbarazzo perchè sanno che sono stata licenziata. Argh!