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Mamma mia che paura!

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Essendo io una fifona doc, paurosa in ogni occasione, tendente alla paralisi quando si presenta un pericolo che necessita di una reazione immediata, ho deciso di fare come nei film americani in cui il protagonista affronta le sue paure per vincerle. O almeno le racconta. Quindi ecco un elenco delle cose che mi hanno fatto paura. Ma ne mancano molte altre.

Le MUCCHE: siamo andati per diversi anni in vacanza in Valle d’Aosta, che è popolata da serafiche nonché bellissime mucche che passeggiano serene nei prati. Quando mi ci sono trovata faccia a faccia su un sentiero ho deglutito e mi sono immobilizzata. La mucca non mi filava proprio ma chissà che mi frullava in testa: sono indietreggiata lentamente come se avessi avuto davanti un tirannosauro e ho cercato di aggirare l’ostacolo. In seguito mi sono (quasi) convinta che le mucche sono (quasi) inoffensive, a meno che non le vedi scontrarsi (ma non si fanno niente) nella Battaglia delle Regine, dove sono davvero spaventose!

Il film “ALIEN”: L’ho visto al cinema Adriano quando ero ventenne quindi già grandina. Le disavventure di Ripley contro l’alieno brutto e bavoso mi hanno catturata subito, e ogni volta che il mostro attaccava facevo dei salti sulla poltrona che nemmeno Tamberi. Ho continuato a ad avere paura anche in macchina, quando siamo tornati a casa. Oggi il buon vecchio xenomorfo non mi spaventa (quasi) più. E continuo ad amare Sigourney.

L ‘escursione sul MAR ROSSO: Un sacco di anni fa, quando ancora non andava di moda, siamo andati a passare una settimana a Sharm El Sheik. Di italiani ce n’erano pochissimi e si stava una meraviglia. Stavo sempre in acqua a guardare i pesci ed ero così stupita che mi sembrava di essere una di loro, ma più cicciotta. Un giorno ci siamo imbarcati per fare una piccolo giro in mare e fare un tuffo al largo. Dunque ci tuffiamo dalla barca, ficchiamo il naso sott’acqua vedere i pesci e, quando torniamo su, la nostra barca non c’è più. Ci avevano dimenticati in mare! Lì ho creduto di morire, però almeno stavo nel Mar Rosso e sarebbe stata una morte bella rapida, visto che gli squali non si sarebbero fatti sfuggire due succulenti bocconi italiani. Nuotavamo lentamente per non stancarci ma intorno non vedevamo nessuno a cui chiedere aiuto! Dopo una mezz’ora, quando ormai Jack e Rose scansàteve proprio, abbiamo avvistato un’altra barca che trasportava turisti e ci siamo messi a strillare Help! Help! Ci hanno tirati su e io ho ringraziato Nettuno, Ariel e compagnia bella di averci salvato la pelle.

La funivia del MONTE ROSA: Io, Riccardo e le bassotte prendemmo la funivia per salire in cima al Monte Rosa. Era estate, faceva caldo anche in montagna, ma noi eravamo abbastanza coperti. Arrivammo in vetta, ammirammo il panorama avvolto in lievi nuvole grigie che rendevano il tutto ancora più incantevole. Eravamo quasi a 3000 metri. Sullo sfondo si stagliava la sagoma di uno stambecco, che ovviamente io scambiai per vero, ma era una statua in bronzo. Decidemmo di scendere perchè iniziavamo a sentire freddo ma la cabina era ferma. Erano le 13. Avevamo anche fame. non c’era nessuno in giro, Si affacciò un addetto agli impianti e ci disse che avrebbe riaperto solo alle 16,30 e non poteva assolutamente farci scendere giù. Dovevamo aspettare. Inoltre non c’era un posto interno dove potevamo ripararci, perchè lui doveva chiudere tutto. Avemmo dovuto trovarci un riparo fuori. E si stava anche alzando il vento. Ci sedemmo in terra sotto una grondaia, stretti uno sull’altro, due turisti romani scemi e due bassotte che tremavano. Ci avvoltolammo nelle giacche a vento tenendo i cani tra di noi. Ero certa che saremmo morti congelati in cima al Monte Rosa. Di noi avrebbero trovato solo due cadaveri grossi e due minuscoli completamente ghiacciati, tipo uomo di Similaun e i suoi bassotti. All’improvviso l’addetto all’impianto si mosse a compassione e ci chiamò: Andiamo, vi porto giù! Contravvenendo alle ferree regole dell’impianto, ci fece salire nella cabina e ci spedì giù a valle. Salvi!

I cani da pastore ABRUZZESI-MAREMMANI: Non avendo mai avuto paura di nessun tipo di cane, suona un po’ bizzarro che io abbia avuto paura di questi. Ma trovarseli davanti a protezione del loro gregge, che ti guardano come se tu fossi la feccia della feccia degli esseri viventi, a me ha fatto partire un brividino di strizza lungo la schiena. Eravamo in montagna, sul Terminillo, il deserto intorno tranne noi, le pecore e i cani da guardiania. Abbiamo indietreggiato molto lentamente, con la nostra bassotta Milla (quella prima di Holly e Spilla) in braccio, mentre loro ci fissavano con evidente disprezzo. Ero sicura che stessero guardando Milla, dicendo tra loro: “Per me è un gatto”, “Ma no, è un cane piccolo”, “Ma che dici, è una pulce grossa”, “E’ un’arvicola un po’ cresciuta”, mentre si chiedevano come sarebbe stata di sapore, magari con noi di contorno.

Spilla e l’ASCENSORE: Un paio di mesi fa ero entrata in ascensore con le bassotte. Le avevo portate a spasso e stavamo tornando a casa. Avevo spinto il bottone del 5° piano, le porte si erano chiuse lentamente e Spilla… era uscita fuori! Era legata al guinzaglio estensibile e non mi ero accorta che era schizzata fuori. L’ascensore saliva verso il 5° piano e il guinzaglio scorreva tra le porte, io andavo su e lei restava giù appesa al filo. Ebbi così paura che non riuscii a fare altro che gridare aiuto (invece di spingere il pulsante di blocco dell’ascensore). Mio marito recuperò la cagnolina scioccata che stava per fuggire dal portone del palazzo. Per fortuna la corda del guinzaglio si era spezzata con la forza della trazione e Spilla si era liberata, ma aveva fatto un volo di un paio di metri, tirata su dal guinzaglio lungo la porta dell’ascensore, fino a che il filo non si era rotto. La cagnolina rimase immobile sul divano per circa due ore, con gli occhi chiusi, a smaltire la paura. E io pure.

La mia DIAGNOSI: fu un oculista che conoscevo da anni a dirmi che il mio disturbo alla vista, l’uveite, aveva un motivo: una famigerata malattia autoimmune del sistema nervoso. In quel momento sentii la testa che mi scoppiava, il cuore che saliva in gola, la sensazione di fine immediata. La paura si presentò nel suo stato più puro e potente. Non avevo parole, sentivo solo un sapore di fine imminente e di disperazione. Lui mi rassicurò (ma credo si faccia sempre così) e mi spedì a fare la risonanza magnetica cerebrale. Girai come una trottola tra esami e consulti, poi trovai il neurologo che mi stabilizzò. Arrivarono altri oculisti (e la mia cara prof del Policlinico che mi cura ancora oggi e che mi tirò fuori dalla diplopia), un altro neurologo (svitato ma deciso, sono ancora con lui) e tante altre RM cerebrali-dorsali-spinali così lunghe che dentro il tubo ci prendo la residenza. Morale? Nella vita è meglio essere fatalisti che fifoni.

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