
Vorrei tornare in quel mondo dove ai compleanni compravi la torta Charlotte, non c’erano i cellulari e te la cavavi con i telefoni a gettone. Se li trovavi.
Vorrei tornare alle estati al mare, a Ostia, dove mio padre ci parcheggiava per due mesi, io mia madre e mia sorella. Il gelato era lo Zatterino (in realtà Camillino, L. 50). Io ero una ragazzina cicciona ma serena, anche se le mie amichette avevano già il filarino e a me non mi guardava nessuno. Andavo in giro in bicicletta su e giù per i cavalcavia e non avevo paura di niente. La paura sarebbe arrivata dopo.
Vorrei tornare in quel mondo dove andavamo in giro su motorini dai nomi buffi, il Ciao, il Corsarino, il Garelli, il Boxer – che era il mio, un maledetto coso verde che si fermava sempre per cause inspiegabili. Imparai a guidare il motorino sui sassolini di Piazza Cavour, istruita da un amico che poi decise da solo della sua fine.
Quando si andava alle Feste dell’Unità dove suonavano i cantautori e si mangiavano panini unti e buonissimi. Tornare alle sigarette MS, che fumava mia madre e poi anch’io. Alle passeggiate lunghissime nei prati e nei boschi dietro casa con la mia amica Laura, senza paura che qualcuno ci aggredisse.
Tornare alla borsa di Tolfa, che esiste ancora ma costa uno sproposito. E anche agli zoccoli neri da femminista, scomodi ma iconici e quindi irrinunciabili. Tornare ai jeans Levi’s o Roy Rogers, che allora mi entravano.
Vorrei tornare alle uscite con mia madre che, dovunque andavamo, rubava qualcosa. Una volta in un ristorante del centro si portò via con nonchalance una tovaglia da 12 con tutti i tovaglioli. In un bar di Piazza Navona trafugò sorridendo 6 sottobicchieri di metallo. Nessuno la beccò mai.
Vorrei tornare alle domeniche mattina a Porta Portese, quando ci si trovava davvero di tutto e ci compravamo le camicie da uomo americane usate che ci parevano bellissime. Mia madre colpiva anche lì.
Vorrei tornare al Cineclub, un posto sotterraneo dove proiettavano film-pietre miliari che non potevi non vedere. Ci vidi “Fragole e Sangue”, “Piccolo Grande Uomo”, “Il Laureato”, “Butch Cassidy e Billy The Kid”, Woodstock”.
Vorrei tornare all’Università e a quella dimensione di sapienza, cultura, curiosità e cioccolata calda alla macchinetta al secondo piano. A quei professori scombinati che mi affascinavano con le loro lezioni. Mi ero affezionata a loro, e forse loro a me. Almeno uno.
Vorrei tornare a suonare la chitarra con gli amici, sgolarsi nel ritornello di “Contessa”, cantare le lunghissime canzoni di Guccini che, non si sa come, sapevamo tutte a memoria. Vorrei tornare a quel momento magico in cui suonai “Right between the eyes” per un amico che voleva conquistare un deliziosa ragazza, Cosetta, e con quella dolce canzone ci riuscì.
Vorrei tornare a sedermi la sera intorno ad un fuoco, in silenzio, fissando le fiamme agili e leggere, con un’inspiegabile malinconia nel cuore.
Vorrei tornare a passare le notti a chiacchierare e a fumare, a divertirmi al concerto di Edoardo Bennato, a gustarmi la pizza di Baffetto a Via del Governo Vecchio, a sentire i Led Zeppelin, i Genesis, Simon & Gafunkel. E “Supersonic” alla radio.
Vorrei tornare a camminare con lo zaino pesante sulle spalle e avere la sensazione di essere speciale.
Vorrei tornare a emozionarmi, a indignarmi, a scendere in piazza. A credere in un ideale. Vorrei tornare a sentire quella forza interiore che mi scuoteva e mi faceva muovere, ma anche fare cazzate colossali, con la costante che non ho mi imparato dai miei errori.
“Vorrei poter tornare indietro. Vorrei avere ancora 18 anni e la vita davanti tutta intera”. Marisa (Sabrina Ferilli) in “Ferie D’Agosto” di Paolo Virzì, 1995