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Il tempo non sta a guardare

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E’ un periodo, questo, piuttosto scioccante. Scopro che persone della mia età, amici e conoscenti, si sono ammalate di cose dannatamente serie, roba da lasciarci le penne se non sei seguito e fortunato. Alcuni non lo sono stati e se ne sono andati senza nemmeno salutare. Mi guardo intorno e capisco che il tempo che passa sta iniziando a presentare il conto. E non significa solo ammalarsi, no. Vuol dire anche vedere gli amici che vanno in pensione, come quei signori che tanto tempo fa mi sembravano decrepiti e arrivati al capolinea quando si dichiaravano “pensionati”.

Quando li incontro non li riconosco più. Cerco sui loro visi le tracce di quella giovinezza che abbiamo vissuto insieme. Con lui ho fatto gli scout, con quell’altro ho studiato. con lei ho fatto un viaggio bellissimo, con l’altra ci siamo divertite come matte. E ora chi siete? Capelli bianchi, facce rugose, occhi stanchi, andature rallentate, corpi rinsecchiti o sformati. Mi guardo e vedo che anch’io sono così. Copro i segni sul viso con photoshop, mi piallo la pancia, allungo la figura. Ma chi voglio ingannare? Credo solo me stessa. Certo non puoi presentarti sui social con la tua vera faccia, altrimenti tutti penseranno “Madò come s’è invecchiata! Come s’è ridotta!”, ovvero quello che penso io quando vedo i miei coetanei.

I miei anni sono volati veramente in un attimo. E ho un bilancio miserrimo di un vita andata avanti per inerzia. Senza desideri, ambizioni, sfide. Non è un lamento, è un dato di fatto. E’ obiettività. Mi è successo tutto per caso, lo studio, la laurea (inutile), il lavoro nel Centro Studi che non sono riuscita a trasformare in un aggancio per l’università (sarei dovuta andare in missione in Perù o in Brasile ma, com’è nel mio stile, ho avuto paura), il lavoro a Cioè, arrivato dopo aver risposto per caso a un annuncio sul Messaggero. E poi vent’anni in quella redazione, senza nemmeno provare a cercare altre opportunità fuori – anzi, una l’ho avuta, quando la mia amica Patrizia mi chiamò nella redazione del suo programma di Rai 1, ma io come sempre ebbi paura e dopo un mese di Rai scappai via per tornare al giornale.

Il coraggio non è mai stato il mio forte. Nemmeno quando mi trovai, nel giro di due anni, senza padre e senza madre. Ero una trentenne fifona che si appoggiò al suo fidanzato, forte e solido, costretto a rinnegare le sue fragilità per darmi supporto e fiducia. Senza di lui io non ero niente. Provai anche a dargli un figlio, ma dentro di me ero spaventatissima e per nulla convinta. Poi la fine del lavoro, la mia malattia, l’aiuto della mia amica forever Stella che mi trascinò nell’avventura di Mengoni, alla quale partecipai con grande impegno.

Stella mi fece scordare che ero gonfia di cortisone per rintuzzare la malattia e mi fece sentire importante. Poi andai a lavorare da Silvia, amica di Stella e produttrice discografica. Per caso le serviva qualcuno per una nuova etichetta e mi prese con lei. C’era Carlo a capo di questa label e da lui imparai un sacco di cose, ma gli ruppi tanto i coglioni con la mia aria da saputella. Da uno che ha lavorato con i Depeche Mode avevo solo da imparare e muta. Poi quell’avventura musicale finì. Di nuovo senza lavoro. Per caso Andrea, un ex collega, mi chiamò per scrivere per i suoi giornali di gossip. Durò qualche tempo, poi persi anche quell’attività. E per caso arrivò il sito per cui scrivo ora. Fine.

In mezzo ci sono state storie, amori, concerti, canzoni, errori, vacanze, cani. Ma tutto incredibilmente leggero, effimero, volatile. Giorni veloci e anni rapidi. Di cui è rimasto poco. Ci sono persone che in sessant’anni di vita hanno fatto qualsiasi cosa, studi, viaggi, esperienze, figli, famiglie, posizioni professionali importanti, soddisfazioni a iosa. Quando me ne andrò, se c’è qualcuno dall’altra parte, mi chiederà perchè ho sprecato il mio tempo. E non so proprio cosa potrò rispondere.

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