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Quando c’erano i Take That

Nei miei tanti anni di Lavoratrice Fedele del Giornaletto delle Ragazzine c’era un argomento obbligatorio da mettere nel timone (coso di cartoncino che rappresentava le pagine del giornale): le boyband. Se gli anni 80 erano stati il territorio di gruppi iconici come Duran Duran e Spandau Ballet, formati da ragazzi belli ma musicisti veri (discorso a parte per gli Wham, duo in cui il bello e musicista era solo uno, l’immenso George Michael), gli anni ’90 videro il boom delle boyband, dii solito formati da cinque ragazzini di cui solo uno (e talvolta nemmeno uno) s’intendeva di musica.

Impattai subito con i New Kids On The Block, cinque ragazzetti americani molto carini messi insieme nell’85 da un astuto produttore, come tutte le boyband che seguiranno.

In redazione dovemmo imparare in fretta a distinguere i componenti delle boyband uno dall’altro (impresa titanica in cui eccelleva la mia collega Betta). Facevamo articoli in continuazione, copertine, poster, adesivi del retro-copertina, gadget zeppi di foto e aneddoti. La boyband che conquistò più cover in tutta la storia del Giornaletto fu quella dei Take That.

I Take That erano il baby (Mark), il dancer (Howard), il dancer numero 2 (Jason) il simpatico (Robbie), il musicista (Gary). Anno d’arrivo 1990. Età media 19 anni, inglesi di Manchester, bellissimi, erano spesso seminudi nei loro video che miravano ad esaltare la loro sensualità destinata a scombinare i quieti sonni di molte tredicenni.

Quando vennero in Italia per un live, io e Betta andammo a vederli con il distacco (finto) delle giornaliste che volevano indagare sul fenomeno per teen agers del momento. Dopo tre minuti che la band aveva iniziato lo show, Betta e io eravamo in piedi a ballare, saltare e strillare come tredicenni. E senza nemmeno vergognarci!

Un’altra boyband che conquistò le teen italiane fu quella dei Backstreet Boys, americani, nati nel 1993. Gran belle canzoni e video con numeri di ballo perfetti si univano a delle faccine molto gradevoli, soprattutto quella di Nick. Esistono ancora, come gran parte delle boyband anni 90, e sono rimasti più o meno uguali.

Sulle nostre copertine, impaginate dalla grafica Gloria, apparvero anche gli inglesi East 17 (1991), gli irlandesi Boyzone (1993), gli americani NSYNC (1995), i Five, inglesi e gli Hanson, americani (entrambi 1997), i Westlife (1999, irlandesi) e i Blue, inglesi (2001). Nello stesso anno arrivarono anche i tedeschi Tokio Hotel.

Insomma, avevamo di che riempire le copertine, inframmezzando i “carini” delle band ad altri soggetti attraenti e stuzzicanti: Leonardo DiCaprio abitò stabilmente sulle nostre cover.come pure Brad Pitt e Tom Cruise, ma anche attori di telefilm teen come Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek.

E poi il World Wide Web ingoiò giornaletti, divi pop, teen idol.

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Talvolta è meglio non chiedere perché

Photo by Helena Lopes on Pexels.com

Da bambina avevo già un carattere schifoso. Facevo storie perché non volevo dormire da sola, mi terrorizzava e attaccavo interminabili piagnistei. Mia madre, per sedarmi, mi cantava qualche canzoncina, sperando di farmi prendere sonno. Una delle canzoni che intonava era la “Ninna Nanna del Cavallino”, di Renato Rascel, che si capisce subito di cosa si tratta perchè lui lo dichiara all’inizio. Mia madre, scaltra come una volpe, evitava di ripetere quelle parole che Rascel pronuncia prima di cantare e attaccava subito con “Lungo i pascoli del ciel / Cavallino va / tutto d’oro è il suo mantel / Nell’oscurità…” Musica dolcissima, la voce di mia madre intonata e melodiosa: il risultato era che crollavo addormentata. Una sera, però, mi venne un dubbio: non riuscivo a capire cosa fossero quei pascoli del cielo e perchè il cavallino procedesse nell’oscurità, sebbene dotato di un mantello d’oro. “Mamma ma perché il cavallino corre in cielo?” ebbi la stoltezza di chiedere. “Ma perché è morto, no?” fu la sua dolce risposta.

Scoppiai a piangere come una vedova siciliana dietro al feretro di un congiunto. Mia madre mi aveva ipnotizzato tutte le sere con una canzone su un cavallo morto e io non l’avevo mai capito. Non so se fossi più incazzata perchè la genitrice mi aveva addormentato con un canto funebre o perché ero stata così ingenua da non capirlo.

Morale della storia? Certe volte è meglio astenersi dal chiedere perché.