
Da bambina avevo già un carattere schifoso. Facevo storie perché non volevo dormire da sola, mi terrorizzava e attaccavo interminabili piagnistei. Mia madre, per sedarmi, mi cantava qualche canzoncina, sperando di farmi prendere sonno. Una delle canzoni che intonava era la “Ninna Nanna del Cavallino”, di Renato Rascel, che si capisce subito di cosa si tratta perchè lui lo dichiara all’inizio. Mia madre, scaltra come una volpe, evitava di ripetere quelle parole che Rascel pronuncia prima di cantare e attaccava subito con “Lungo i pascoli del ciel / Cavallino va / tutto d’oro è il suo mantel / Nell’oscurità…” Musica dolcissima, la voce di mia madre intonata e melodiosa: il risultato era che crollavo addormentata. Una sera, però, mi venne un dubbio: non riuscivo a capire cosa fossero quei pascoli del cielo e perchè il cavallino procedesse nell’oscurità, sebbene dotato di un mantello d’oro. “Mamma ma perché il cavallino corre in cielo?” ebbi la stoltezza di chiedere. “Ma perché è morto, no?” fu la sua dolce risposta.
Scoppiai a piangere come una vedova siciliana dietro al feretro di un congiunto. Mia madre mi aveva ipnotizzato tutte le sere con una canzone su un cavallo morto e io non l’avevo mai capito. Non so se fossi più incazzata perchè la genitrice mi aveva addormentato con un canto funebre o perché ero stata così ingenua da non capirlo.
Morale della storia? Certe volte è meglio astenersi dal chiedere perché.
L’ingenuità disarmante dei bambini! Hai ragione, a volte è meglio non sapere e lasciarsi cullare dalle convinzioni fanciullesche. Anche perché la verità spesso è dura da accettare
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